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AIDS e HIV: il quadro epidemiologico al 2008
in Italia
Roma 29 Settembre 2009
Le persone con
Aids in Italia nel 2008 hanno mediamente un’età più elevata di quelle registrate
negli anni passati, sia perché le terapie aiutano a mantenersi in vita più a
lungo sia perché ci si infetta più tardi e quindi si sviluppa la malattia più
tardi. Il dato emerge dall’“Aggiornamento delle nuove diagnosi di infezione da
Hiv al 31 dicembre 2007 e dei casi di Aids in Italia al 31 dicembre 2008”
pubblicato dal Centro nazionale Aids dell’Istituto superiore di sanità
nell’aprile 2009 che rivela anche l’incremento del numero dei casi di Aids e
soprattutto delle nuove diagnosi di infezione che si registra tra gli stranieri.
L’altro dato
estremamente preoccupante che Gianni Rezza, epidemiologo dell’Iss, ha
evidenziato presentando il rapporto è quello relativo al ritardo nella diagnosi
di sieropositività, cioè l’aumento del numero di persone che si accorgono di
aver contratto il virus solo quando esplodono i sintomi della malattia: “La
percentuale degli ‘inconsapevoli’ è aumentata dal 21% nel 1996 al 60% nel 2008 –
avvisa Rezza – Questo dato suggerisce che una parte rilevante di persone
infette, soprattutto fra coloro che hanno acquisito l’infezione per via
sessuale, ignora per molti anni la propria sieropositività: ciò gli impedisce di
entrare precocemente in trattamento e di adottare quelle precauzioni che
potrebbero diminuire il rischio di diffusione dell’infezione”.
Non è compito del rapporto indagare quali siano le motivazioni che tengono
lontane le persone dal test per la diagnosi dell’infezione, ma lo stesso Rezza
si sente in dovere di precisare che “in un’epoca di bassa attenzione per l’Aids,
è quanto mai necessario programmare adeguati interventi di prevenzione”.
Interventi che devono raggiungere sempre più la popolazione generale: se prima
del 1997 i due terzi delle persone con Aids erano tossicodipendenti, nel 2007/08
questa percentuale è scesa al 25% mentre i contatti eterosessuali sono passati
nello stesso periodo dal 15 al 45%. E se gli stranieri rappresentavano prima del
1993 “solo” il 3% dei casi di Aids segnalati, lo scorso anno sono arrivati a
superare la quota del 22% e arrivano quasi al 32% se ci si riferisce alle nuove
diagnosi di infezione. Naturalmente bisogna ricordare che, nonostante il decreto
per l’attivazione del Sistema di sorveglianza nazionale delle nuove diagnosi di
infezione da Hiv sia stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il 28 luglio 2008,
il monitoraggio si basa ancora su quelle poche realtà territoriali che hanno già
disposto un sistema affidabile per la rilevazione e la raccolta dei dati. Nel
2007 gli abitanti di regioni e province in cui esiste un sistema di sorveglianza
rappresentavano solo un terzo della popolazione totale italiana. Dall’analisi di
questi dati emerge una sostanziale stabilizzazione nel numero delle nuove
diagnosi con una apparente tendenza all’aumento in alcune aree, soprattutto al
Nord. Nel 2007 sono state segnalate, dalle regioni e province partecipanti,
1.679 nuove diagnosi di infezione da Hiv in residenti, pari a un’incidenza di
6,0 per 100.000 residenti. Se si proietta questa cifra sulla popolazione
nazionale, dovremmo attenderci oltre 5.000 nuove diagnosi all’anno.
Per quanto riguarda le caratteristiche demografiche, è aumentata
progressivamente negli anni la proporzione di donne diagnosticate sieropositive:
il rapporto maschi/femmine, che era di 3,5 nel 1985, è diventato di 2,5 nel
2007. Si osserva anche in questo caso un aumento dell’età mediana al momento
della diagnosi di infezione (passata da 26 anni per i maschi e 24 anni per le
femmine nel 1985 a, rispettivamente, 37 e 33 anni nel 2007) e un aumento della
quota di stranieri, soprattutto provenienti dall’Africa (41,2%) e dall’America
Latina (25,2%), e che acquisiscono l’infezione per via sessuale (75,9% dei casi
di nuove infezioni in stranieri nel 2007).
È proprio tra la popolazione immigrata, infine, che si registra la più
preoccupante tendenza a ritardare la diagnosi: in oltre il 70% dei casi ricevono
una diagnosi di Aids meno di sei mesi dopo il primo test Hiv positivo. Nella
popolazione generale questa percentuale è del 59,7% nel 2007 (era del 20% nel
1996) e riguarda soprattutto coloro che si infettano per via sessuale, sia etero
che omo.
(fonte www.anlaids.org)
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